sabato 18 novembre 2017

Equilibrium Rooms

Rooms è il titolo dell'album, frutto del nuovo progetto artistico di Fabrizio Licciardello Equilibrium, composto in stretta collaborazione con Dario Laletta

Preso in mano il disco e ignari di questo, complice la grafica della bellissima e enigmatica copertina (a cura di Stefania Mazzaglia), non è difficile equivocare leggendo una dopo l'altra le parole equilibrium rooms, ovvero le “stanze dell'equilibrio”: e questa lettura potrebbe suonare strana per un disco che, come vedremo, è in realtà un concept sulla follia, nato e in seguito sviluppatosi dalla colonna sonora, composta dallo stesso Fabrizio, del fortunato spettacolo Follia (a cura di Laura Avola e Corrado Dipietro). Potrebbe suonare strano ma, secondo il mio modesto parere e a dispetto del tema, questo album è un mirabile esempio di equilibrio compositivo e chiarezza d'intenti, un'opera eloquente e matura su un argomento complesso e affascinante che rimanda all'instabilità, alla mutevolezza, all'incomprensione e quindi alla dissonanza, non solo in termini musicali. Sono queste alcune delle cifre cardine di questa musica, e queste stanze “sonore”, come le stanze di un componimento poetico, come le stanze di una complessa architettura sonora, si riflettono nella estrema ricchezza e diversità dei brani, nella mutevolezza di ciascuna delle loro parti, nei cambi di tempo e di sonorità, testimonianza della maestria tecnica e compositiva di Fabrizio Licciardello. Fabrizio mette in mostra in ognuno di questi brani il fiore del suo ormai ultradecennale studio sulla chitarra: ma, detto questo, Rooms non è comunque un disco “per chitarristi”, o meglio, non solo. È un'opera in cui il suono di chitarra, che è struttura essenziale di ogni brano nel suo intrecciarsi complesso e ardito con la controparte ritmica, non è un mero sfoggio di tecnica, ma è un eclettico strumento al servizio di un'idea poetica, elemento della creazione di complesse atmosfere musicali, e il frutto degli ascolti, reinterpretati in maniera personale e originale, dei grandi maestri del metal, della fusion, del progressive, del rock, del jazz. E si può considerare, secondo il mio punto di vista, l'evoluzione del precedente progetto musicale di Fabrizio Licciardello e Paolo Capizzi, Atlantis, in cui la chitarra elettrica dialogava con quella acustica e alcuni brani, come Where the stars fall down, assumevano la struttura complessa che ritroviamo in tutte le composizioni di questo lavoro. Rooms è, in altre parole, una peculiare Conversation to myself con la quale Fabrizio dialoga con se stesso, nonostante in questo disco non ci siano sovraincisioni, ma, a differenza dell'omonimo album di Bill Evans, tutte le tracce di chitarra sono suonate e registrate in diretta. È un disco che, nella sapiente orchestrazione ritmica e armonica delle sue parti, mostra una padronanza e una maturità compositiva straordinarie.

Tutto questo si nota già a partire dal brano d'apertura, Mind Labyrinth, a cui ad un iniziale riff marziale, sostenuto da ritmo veloce e drumming potente, si alternano dissonanze e parti meno veloci e melodiche, per concludersi con un arpeggio ossessivo, sfondo alle note modulate dal whammy. Questo effetto è senza dubbio l'effetto chiave dell'intero disco: presente in tutti i brani, ad eccezione di Whispers, comunica un senso di disperazione, come un grido, che fa rimbalzare la voce, il suono della chitarra da un'ottava all'altra, da una dimensione all'altra. Si apprezza in maniera evidente anche nel secondo brano, Little Albert (dal nome della piccola vittima dell'esperimento dello psichiatra americano John Watson), aperto da un magistrale e intrigante arpeggio in palm muting, che introduce un'inquietante atmosfera, sostenuta da un ritmo crescente fino all'esasperazione, che sembra tratteggiare le subdole attenzioni dell'orco/dottore contro le grida lancinanti del bambino/vittima. La seguente Hypnotic Trance, non a caso colonna sonora dello spettacolo Follia (per il quale Fabrizio ha improvvisato on stage due nuovi assoli, come in tutti i pezzi del disco), è a mio parere il cuore tematico di Rooms: cambi di tempo, chitarre che si alternano tra riff gravi e parti cantabili, una superba linea di basso finale programmato da Dario Laletta, arpeggi in tapping che, nella seconda parte, aprono ad un delizioso, rilucente tema midtempo che fa da sfondo ad un portentoso assolo in cui si apprezza la virtuosità del tapping a otto dita, tecnica adottata ed esplorata in tutte le sue possibilità espressive proprio da Fabrizio Licciardello, fino a diventare un suo segno distintivo. 

Nella title track, invece, le atmosfere si fanno più cupe: il ritmo sincopato, la batteria suonata da Andrea Sciacca sulle parti “mute” dello strumento dipinge un inquietante effetto di straniamento su cui si innesta la voce della chitarra, una voce quasi tragicomica, ai massimi della sua espressività, accentuatamente dissonante in alcune parti. Su questo mood anche Asylum, che rievoca la sensazione “melmosa” e ottenebrante del “sanatorio” grazie all'uso di chorus e riverbero, pedale wah, e Padding Cell, la “stanza” imbottita di protezioni contro le autolesioni, che si apre invece con un arpeggio luminoso e pieno di echi che passa senza soluzione di continuità dalla chitarra solista alla chitarra ritmica suonata da Dario Laletta. Su entrambi i brani Fabrizio eleva due solo estremamente espressivi, dolente e ossessivo, che vira sulla fusion, in Asylum, più cantabile nell'altro brano. Sonorità più hard ritornano con Lobotomy, sostenuta da un pesante riff distorto e complessi arpeggi in tapping, drumming potente di Luigi Perticone, continui cambi di tempo, dissonanze e assoli che partecipano sia della lezione di maestri come Frank Gambale e Alan Holdsworth, sia delle vertiginose soluzione ritmiche e formali di Fred Frith, la cui musica Fabrizio Licciardello ha studiato a fondo con l'esperienza dei Tetraktys



Come un immaginario risveglio dopo un'immaginaria lobotomia, le cui atmosfere la musica di Fabrizio e Dario hanno rese tremendamente vivide, arriva Whispers, ispirata dalla vicenda di NOF4, al secolo Oreste Fernando Nannetti. NOF4 visse rinchiuso per anni nel manicomio di Volterra e, prima della chiusura del sanatorio in seguito alla legge Basaglia, lasciò sulle pareti di uno dei padiglioni un colossale graffito considerato un capolavoro della brut art. Il tema tragicamente dolente della chitarra solista, ispirato dai suoni di Jeff Beck, l'uso massiccio del riverbero e del chorus creano una atmosfera rarefatta, sospesa tra due mondi, tra il mondo dei vivi e dei morti, dei sani e dei malati, dei normali e dei pazzi. Fabrizio Licciardello omaggia l'arte indefinibile e inafferrabile di Nannetti, incompresa dai più, riportando nel disco alcune delle frasi dei suoi graffiti: e il suo essere tanto sui generis rende quest'arte sorella, artisticamente parlando, delle complesse, multiformi e inquietanti atmosfere di Rooms

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