Dmitrij Gutov, Bašaškin (foto dal questa pagina) |
Tra le numerose opere ammirate e apprezzate nello splendido catalogo della mostra "Lost in translation" (curato da Antonio Geusa in collaborazione con il Moscow Museum of Modern Art e il Centro Studi sulle Arti Russe della Ca' Foscari), evento collaterale della 55a Biennale d'Arte di Venezia, mi ritorna continuamente in mente il semplice marmo di Dmitrij Gutov, Bašaškin, per la mole di significati stratificati cui esso rimanda. In questo senso, le note che accompagnano l'opera sono illuminanti: essa riferisce di un episodio accaduto al padre dell'artista, che negli anni '70 raccontò di essere stato fermato da due uomini che gli chiedevano: "Bašaškin? Bašaškin?" La spiegazione di questo aneddoto giunse in seguito: Anatolij Bašaškin (1924 - 2002) fu un noto calciatore sovietico, terzino dello CSKA di Mosca e della Nazionale (con cui vinse l'oro ai Giochi Olimpici di Melbourne del 1956). Il tre era il suo numero di maglia. Tre rubli e sessantadue copechi il prezzo di una bottiglia di vodka all'epoca, epoca di aspre campagne contro l'alcolismo diffuso. Era abbastanza comune che tre persone insieme comprassero una bottiglia di vodka per dividerla, facendo verosimilmente del gruppo un cerchio attorno alla bottiglia per nasconderla alla vista di occhi indiscreti. Chiedendo furtivamente al padre di Gutov "Bašaškin? Bašaškin?" i due uomini, molto probabilmente, cercavano un terzo per una bevuta.
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