Giuseppe Tomasi di Lampedusa |
Tomasi di Lampedusa non fu autore prolifico: oltre al suo grande capolavoro, Il Gattopardo, pubblicò ben poche cose, altre lasciò sepolte nei cassetti, come questi quattro piccoli frammenti raccolti in questo volumetto Feltrinelli, Racconti. Senza dubbio La sirena (in una precedente edizione chiamato Lighea, per volere della vedova Tomasi) è il racconto più significativo.
Si narra l'affascinante storia di un vecchio grecista (a me, non so perché, ha ricordato molto il mio compaesano Francesco Guglielmino) che, in un momento particolare della sua vita, viene "ghermito" da una sirena nei mari mitici dello Ionio, affascinata dai versi di poeti greci declamati dall'allora giovane studioso. Con essa il protagonista vivrà un'unione breve ma molto più perfetta dell'amore, non comprensibile dagli umani.
La narrazione è suddivisa nettamente in due parti: nella seconda, ad esclusione dell'epilogo, vi è il racconto della magica vicenda del protagonista, mentre nella prima leggiamo dell'incontro del vecchio grecista con il narratore, affidato da Tomasi ad un giovane giornalista siciliano, anch'egli immigrato nella Torino sabauda. Il loro incontro avviene in un oscuro e fumoso caffè, "una specie di Ade popolato da esangui figure di tenenti colonnelli, magistrati e professori in pensione". Sono due personaggi dei quali Tomasi evidenzia non solo la differenza d'età, ma anche il divario culturale: dell'uno è sottolineata la mesta alterigia del principe Salina, dell'altro è sottolineata l'intelligenza e l'esistenza un po' scapestrata. Non mi sembra azzardato vedere nel loro rapporto un'analogia con quello tra il giovane Tancredi e il grande protagonista del Gattopardo; e facendo un piccolo passo, si potrebbe vedere anche la proiezione della "comunione d'intelletti" tra Tomasi di Lampedusa e l'illustre bisnonno, figura che ispira, per ammissione dell'autore, il principe Fabrizio di Salina.
Un po' per caso, un po' per l'ostinazione del giovane, nasce tra i due protagonisti del racconto la singolare amicizia che porterà allo svelamento della magica e affascinante storia di Lighea, la sirena che visiterà l'esistenza del professore nello scenario di una Sicilia mitica.
La narrazione è suddivisa nettamente in due parti: nella seconda, ad esclusione dell'epilogo, vi è il racconto della magica vicenda del protagonista, mentre nella prima leggiamo dell'incontro del vecchio grecista con il narratore, affidato da Tomasi ad un giovane giornalista siciliano, anch'egli immigrato nella Torino sabauda. Il loro incontro avviene in un oscuro e fumoso caffè, "una specie di Ade popolato da esangui figure di tenenti colonnelli, magistrati e professori in pensione". Sono due personaggi dei quali Tomasi evidenzia non solo la differenza d'età, ma anche il divario culturale: dell'uno è sottolineata la mesta alterigia del principe Salina, dell'altro è sottolineata l'intelligenza e l'esistenza un po' scapestrata. Non mi sembra azzardato vedere nel loro rapporto un'analogia con quello tra il giovane Tancredi e il grande protagonista del Gattopardo; e facendo un piccolo passo, si potrebbe vedere anche la proiezione della "comunione d'intelletti" tra Tomasi di Lampedusa e l'illustre bisnonno, figura che ispira, per ammissione dell'autore, il principe Fabrizio di Salina.
Un po' per caso, un po' per l'ostinazione del giovane, nasce tra i due protagonisti del racconto la singolare amicizia che porterà allo svelamento della magica e affascinante storia di Lighea, la sirena che visiterà l'esistenza del professore nello scenario di una Sicilia mitica.
La gioia e la legge è invece un racconto grottesco, protagonista un Monsù Travet, dal vago sapore gogoliano e dostoevskijano, a mio parere non proprio nelle corde di Tomasi di Lampedusa. I gattini ciechi, da quanto scrive Gioacchino Lanza Tomasi nella bella prefazione al volume, doveva costituire l'inizio di un nuovo, grande romanzo. Lo sfondo principale qui è contadino, con un lontano eco verghiano del Don Gesualdo, il che aumenta di molto i nostri rimpianti. Infine una interessante raccolta di ricordi, legati perlopiù all'infanzia dell'autore e alle dimore (Palermo e Palma di Montechiaro) dei Tomasi.
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