martedì 15 luglio 2014

Dalla parte delle vittime

L'acuta e condivisibile riflessione di Violetta Andriolo a proposito delle manifestazioni contro le dure rappresaglie israeliane in Palestina, che ho molto apprezzato per chiarezza e lucidità, sottolinea l'importanza di schierarsi dalla parte delle vittime contro le atrocità mettendo in guardia dal tranello delle facili generalizzazioni, abitudine spesso indotta - a dire il vero - dalla scarsa informazione della gente e dalla discutibile qualità di alcuni giornali e notiziari. Avverso a questa abitudine, sono dell'opinione che problemi di tale complessità e gravità debbano essere affrontati in maniera più problematica, sforzandosi di evitare la parzialità, la miopia ideologica, e cercando di non farsi tentare dall'altra, pericolosa tendenza che sfocia nel "sono tutti uguali".

Emmanuel Carrère
Rileggendo Limonov di Emmanuel Carrère, la splendida biografia romanzata dedicata allo scrittore e attivista russo Eduard Limonov, mi sono imbattuto in un brano in cui l'autore affronta esattamente tutti questi temi e annota quasi le stesse riflessioni, con l'unica differenza che queste scaturiscono dalla terribile esperienza del conflitto nella ex Jugoslavia, in particolare tra serbi e bosniaci. Le parole dello scrittore francese, che condivido pienamente come quelle di Violetta Andriolo, meritano di essere riportate per la loro estrema lucidità e per la loro importanza e, non ultimo, per la (casuale?) coincidenza di averle apprezzate quasi nello stesso momento.

Carrère parla di Jean Hatzfeld, giornalista francese che, un anno dopo aver subito l'amputazione della gamba per colpa di una raffica di mitra che credeva provenire dalle fila degli assedianti serbi, torna a Sarajevo per scoprire, dopo lunghe ricerche, che a ferirlo era stato il fuoco dei miliziani bosniaci. Carrère ammira l'onesta intellettuale di giornalisti come Jean Hatzfeld o Jean Rolin, autori di pregevoli reportage su quella sporca guerra.

"Questa onestà mi colpisce ancor più perché non sfocia nel «sono tutti uguali» che è la tentazione di quelli che la sanno lunga. Giacché arriva infatti il momento in cui bisogna scegliere da che parte stare, o comunque da quale posizione osservare gli eventi. Superata la prima fase dell'assedio di Sarajevo quando, con l'acceleratore a tavoletta e a prezzo di enormi spaventi, era ancora possibile bordeggiare da un fronte all'altro, si doveva scegliere se raccontare gli eventi dall'interno della città assediata o dalle postazioni degli assedianti. Anche per uomini come i due Jean [Hatzfeld e Rolin, ndr], restii a unirsi al coro delle anime belle, la scelta è stata naturale: quando uno è più debole e l'altro più forte, si continua, per onestà, a sottolineare che il più debole non è tutto bianco e il più forte non è tutto nero, ma ci si schiera col più debole. Si va dove cadono le granate, non dove partono. Quando la situazione si capovolge, per un istante si resta sorpresi di trovare, come Jean Rolin, «una innegabile soddisfazione al pensiero che una volta tanto erano i serbi a beccarsi tutta quella roba». Ma è un istante che non dura a lungo, la ruota gira e, se si è quel genere di uomo, ci si ritrova a denunciare la parzialità del Tribunale internazionale dell'Aia che persegue con inflessibilità i criminali di guerra serbi ma lascia gli omologhi croati e bosniaci alla prevedibile clemenza dei loro tribunali nazionali. Oppure si fanno dei servizi sull'orribile condizione in cui vivono oggi  nelle loro enclave del Kosovo i serbi sconfitti. Una regola, atroce ma raramente smentita, vuole che carnefici e vittime finiscano per scambiarsi i ruoli. Bisogna adattarsi in fretta, e non avere lo stomaco delicato, per restare sempre dalla parte di queste ultime".
Emmanuel Carrère, Limonov, Adelphi, Milano 2012, pag. 231. 
 


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